Nel giardino dei giusti di Fuscaldo Marina c’è un albero dedicato dagli studenti della scuola al vicequestore originario di Rota Greca. Il ricordo di Virginia De Fiore: “Un uomo che ha seguito la legge della coscienza”.
FUSCALDO – Nel giardino dei giusti c’è anche l’albero di un poliziotto. Il calabrese, Angelo De Fiore, medaglia d’oro per “l’umana fratellanza” dimostrata verso il popolo ebreo.
A ricordarlo è la cugina Virginia De Fiore. Un racconto nitido, vivo. Nella giornata dedicata a Nicola Gratteri, giusto tra i giusti, c’è spazio per la memoria.
A pochi metri dall’ulivo del magistrato è stato piantato anche quello del vicequestore Angelo De Fiore che l’8 luglio 1969, Yad Vashem – l’ente nazionale per la memoria della Shoah – ha riconosciuto come Giusto tra le Nazioni.
Un riconoscimento che è conferito a chi, pur non essendo ebreo, ha agito in modo eroico per salvare uno di loro. E De Fiore ne salvò centinaia. Il suo nome è scolpito sulla stele del Giardino dei Giusti a Gerusalemme.
“Ha avuto il coraggio di scegliere il bene senza far rumore” – dice Virginia De Fiore.
Angelo De Fiore: Giusto tra le nazioni
Angelo De Fiore nasce a Rota Greca, per poi trasferirsi con la famiglia a Roma. Prima di laurearsi ha il tempo di combattere la Prima guerra mondiale.
Ferito e congedato con il grado di maggiore. Vince il concorso e diviene vicequestore di Roma sotto il regime nazista e responsabile dell’ufficio stranieri.
Un ruolo che gli consente di aiutare centinaia di ebrei e di salvarli ai campi di concentramento. Fingendo di aiutare le autorità del terzo Reich collaborava invece con l’organizzazione della resistenza antinazista e con l’opera assistenziale di monsignor Hugh O’Flaherty.
Manipolava le pratiche riguardanti ebrei e sospetti di attività antifascista, ostacolando di fatto l’attività della Gestapo che all’epoca occupava la città di Roma.
Con i timbri ufficiali del suo ufficio vidimava documenti falsi, modificava nomi e cognomi in modo tale che non si destassero sospetti. Si recava nelle prigioni degli ebrei facendoli passare per ricercati di reati comuni e li liberava.
Quando i militari della Gestapo si recavano presso l’ufficio stranieri della questura di Roma per avere gli elenchi degli ebrei da inviare nei campi di sterminio si trovavano di fronte fascicoli sparpagliati sulle scrivanie, schedari inaccessibili e liste confuse.
L’ufficio stranieri rappresentava un ostacolo. De Fiore conosceva i momenti delle retate e avvertiva gli ebrei, forniva documenti falsi per la fuga o li nascondeva a casa sua. Rischiò la corte marziale.
L’unione delle Comunità Israelitiche Italiane gli conferì nel 1955 la medaglia d’oro per aver “interpretato le inique disposizioni con nobile ed umana sensibilità collaborò con le organizzazioni ebraiche rischiando la vita”.
Virginia De Fiore ha ripercorso quei momenti storici quando: “l’appartenenza a un credo religioso o a una razza determinavano la vita o la morte, si dimenticava facilmente che non vi è differenza tra il cuore di una persona e quello di un’altra. Angelo, come tanti, è stato un segno di speranza. Ha disubbidito agli ordini ma ha seguito la “legge” della propria coscienza. Una coscienza che oggi è possibile formare grazie alla scuola”.