Un cittadino di Lauria: “Vi racconto la mia esperienza. Esame prenotato da 2 mesi, ma il macchinario non funziona da 90 giorni: una beffa. Voglio che non succeda a nessun altro”.
DI MIMINO RICCARDI*
LAURIA – Da un paio di mesi mi sto relazionando mio malgrado, per un problema di salute serio, con numerosi ospedali lucani (Potenza, Rionero, Lagonegro, Sant’Arcangelo, Lauria, Maratea, Chiaromonte, Matera) e pugliesi (Foggia).
Dopo una prima sensazione positiva, devo purtroppo ricredermi perché in alcune situazioni la poca professionalità e la superficialità nell’adoperarsi fanno sì che il servizio sanitario non sia ottimale.
È risaputo che “una rondine non fa primavera” ma, se ciascuna persona che si adopera nel campo della sanità pubblica mostrasse un po’ più d’interesse per l’ambiente in cui vive quotidianamente e, con umanità e passione, si adoperasse in tal senso, avremmo una sanità e un sistema di welfare nazionale migliore di cui usufruirebbe la comunità intera.
Non è importante essere un dirigente, anche se le maggiori responsabilità sono da attribuire necessariamente a questi ultimi, perché spesso un operatore o un infermiere possono essere determinanti allo stesso modo.
Ho vissuto in prima persona una questione incresciosa per la quale sono rimasto allibito e che spero non si ripeta per il sottoscritto e per la comunità lucana, perché la salute è un diritto sacrosanto, come recita l’articolo 32 della Costituzione italiana.
Per farla breve, vi racconto la mia esperienza.
Avevo prenotato ad inizio settembre una “cistouretrografia minzionale retrograda” attraverso il Cup e la prima disponibilità per l’esame in questione era prevista dopo circa 50 giorni (17 ottobre, ore 12) presso l’Irccs Crob di Rionero, tra l’altro, centro provinciale più lontano dalla mia residenza.
Arrivo al Crob alle 10, passo dal ticket automatico che non funziona e mi dicono che, avendo l’esenzione, posso recarmi direttamente all’accettazione di radiologia al primo piano.
Da qui il caso surreale. In accettazione prendono la mia prenotazione, si “pagano la prestazione” e mi dicono di recarmi in sala d’attesa, dove verrò chiamato per l’esame.
Passa un’oretta e chiedo di conoscere i tempi della mia visita. Mi viene detto che non è possibile eseguire l’esame perché il macchinario non è disponibile. Non ci credo, mi hanno messo anche in attesa e non vengo sottoposto all’esame, rimango sbigottito.
Chiedo di parlare con il primario e la coordinatrice del reparto di radiologia, ma entrambi sono ad un corso.
Nel mentre si avvicina un altro medico al quale sottopongo la questione, riesco persino a vedere anche la sala dove dovrebbe trovarsi il macchinario “fantasma” e tutto mi pare tranne che una sala pronta ad avere il nuovo macchinario nei tempi che mi hanno indicato, ossia 15 giorni.
Quello è il momento in cui realizzo che una cosa del genere, in un Paese democratico e industrializzato come il nostro, non possa verificarsi e vorrei scongiurare il ripetersi. Faccio presente di essere anche un giornalista e che avrei voluto comunque parlare con la direzione generale (quinto piano).
Mi riprendo i documenti, mi affretto a ri-prenotare la prestazione e scopro che: non posso utilizzare la medesima ricetta perché ho già usufruito della prestazione (ebbene “si son pagati la prestazione”); si può ri-prenotare la visita al Crob per il 4 novembre.
Decido di prenotare altrove e questa volta la visita ha una coda di una sola settimana, invece di 50 giorni circa, come per la prima prenotazione.
Penso e ripenso e non riesco a capacitarmi di tanta superficialità. Considerate le condizioni della sala da adibire al macchinario e visto che gli utenti potranno usufruire del servizio al Crob da lunedì 4 novembre (e sinceramente non credo che ciò possa avvenire, visti i tempi biblici della macchina burocratica pubblica), chiedo alla coordinatrice di contattare i pazienti che hanno già prenotato, per non farli trovare nella mia identica situazione.
Il Crob, a mio avviso, dovrebbe avere una sensibilità sopra la media, considerando la tipologia di cure e di persone che lo frequentano, e invece, con la scusa dello scaricabarile e della burocrazia, riescono a lavarsene le mani anche in questioni delicate.
Mi fermo a parlare con il dottore e la coordinatrice e faccio presente che oltre al caso specifico dovrebbero farsi carico di senso di umanità, affinché situazioni del genere non si ripetano (come mi rivelano fonti interne, pare che io non sia l’unico caso), soprattutto se a subirle sono anziani e malati oncologici che sfidano la vita con le lancette dell’orologio.
Mi reco anche alla direzione per esser ricevuto dal direttore generale o sanitario (uno dei due è dimissionario, quindi assente) e mi riferiscono di attenderlo, (dopo circa 20-30 minuti d’attesa sono andato via).
Stessa cosa accade con una responsabile della comunicazione, la quale, avvisata della questione, non ha avuto neppure il garbo di ricevere me in quanto “collega”. Di certo entrambi erano a conoscenza dell’incresciosa situazione verificatasi, considerato che la coordinatrice della radiologia era salita in direzione per colloquiare con loro.
Chiederò che sia fatta luce su questo e sui tanti casi di malasanità lucana, perché non si ripetano: chiederò al consiglio regionale di mettere in campo tutte le azioni affinché situazioni del genere non si verifichino più, e inoltre farò presente il caso al ministro Speranza.
È un fatto che non voglio far cadere nel dimenticatoio, poiché sento su di me la responsabilità di fare qualcosa affinché certe questioni si risolvano, sento di farlo come cittadino, come consigliere comunale e come giornalista.
So bene che da solo non è facile, ma credo che sia nell’interesse di tutti limitare questi casi di malasanità. Ognuno può avere un compagno, un genitore, un figlio che ha bisogno degli ospedali lucani (intendiamoci, il problema credo sia geograficamente molto più esteso!) e che ha il diritto di usufruirne sapendo di ricevere il miglior servizio possibile. Ognuno di noi deve avere il coraggio, la forza e la determinazione di alimentare battaglie in altruismo, per il bene comune.
È tempo che dopo il danno non si riceva o ripeta la beffa. Ognuno per la sua parte ha la responsabilità nella società in cui vive e ognuno di noi ha la responsabilità, secondo coscienza e capacità, di creare le condizioni per vivere in un mondo migliore.
Spero che questa vicenda sia da sprono per tutti (e in tutti i settori) a far meglio.
*cittadino e consigliere comunale di Lauria, giornalista per Il Quotidiano del Sud – Basilicata