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Territorio e lavoro, la terra dove il fallimento non è vergogna

Imprenditori per i quali fallire non è considerato… un fallimento. Esistono e vivono in mezzo a noi. Lavoratore ricattato fammi causa, non avrai niente!

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EDITORIALE – Ci sono imprenditori per i quali il fallimento della propria azienda non consiste vergogna. Anzi, può diventare un’arma. E mi spiegherò più avanti.

I racconti sul (non) lavoro che si raccolgono in questa striscia di Calabria mettono i brividi. Non bastano pratiche come le “dimissioni firmate in bianco” o il lavoro in nero .

Non sono sufficienti le “buste paga bugiarde” (per la tracciabilità ti bonificano quanto c’è scritto, ma restituisci una parte al datore di lavoro) o lo sfruttamento.

Ci si mettono anche con i ricatti. Sì, perché in definitiva di questo si tratta. Il sistema, più o meno e con le dovute approssimazioni del caso, funziona così.

Tu lavori. Lui ti paga. Poi arriva il momento che non ti paga, ma tu lavori lo stesso. Tiri avanti, ché in giro non c’è niente. Poi te ne vai volontariamente, perché a tutto c’è un limite.

Se chiedi gli arretrati ti risponde: “Fammi causa! Tanto – questa è la teoria del sedicente imprenditore – non ho nulla di intestato. Se perdo la causa e mi intimano di pagarti… io non ti do un euro. Ci metto un’ora a cambiare nome alla società e tu ti appendi”.

Valido o meno che questo teorema sia, qui è necessaria una riflessione. Mi chiedo: come bisogna giudicare qualcuno che ragiona in questi termini in un ambito come il lavoro, che dovrebbe essere sacro?

Io ne ho conosciuto uno, così. Un soggetto molto interessante. Usava questa tattica e contemporaneamente si ergeva a paladino della legalità, offrendo quotidianamente ai suoi “followers” la panacea per ogni male della Calabria.

Credo che lo faccia ancora. Entrambe le cose, intendo. Lo stronzo e il paladino.

Quanto siamo disposti a tollerare ancora questi atteggiamenti? Dicono che la Calabria non decolli per colpa della ‘ndrangheta. Ma, a volte, anche quelli che non appartengono all’onorata società non scherzano.

Ma serve anche un approfondimento del ragionamento

Valido o meno che il teorema dell’imprenditore-ricattatore sia, instaurare una causa di lavoro ha dei costi. Non sempre si è in grado di sostenerli. Ma spesso si può ricorrere al gratuito patrocinio.

Però bisogna considerare anche che affrontare una causa ha dei tempi, misurabili in X anni. Quindi, se non economicamente, si deve essere pronti moralmente a sostenere la trafila.

E alla fine, anche con sentenza favorevole in mano, esiste sempre il rischio di non avere quanto di diritto stabilito. Oppure si può provare a ottenerlo, instaurando nuove cause, spendendo altri soldi, impiegando altro tempo. Avendo magari la certezza del diritto, ma convivendo con l’incertezza del risarcimento.

Gli “imprenditori” di cui parla questo editoriale, questo lo sanno. Lo sanno bene. E per questo hanno un’arma in mano che scoraggia il tentativo di avere quanto spetta.

Ma il punto è un altro e non ha nulla a che fare con i soldi, ma con la dignità.

Conosco piccoli e grandi imprenditori che invece lo sentono eccome il peso della responsabilità di avere dei lavoratori che producono per loro e che finirebbero in mezzo alla strada con le loro famiglie se loro fallissero.

Imprenditori responsabili e con una coscienza: Lunga vita a voi!

Non i soldi, dicevo, ma la dignità. Questi imprenditori-ricattatori, sempre pronti al prossimo cambio di società, devono ritenersi fortunati se oltre che scellerati sono anche stupidi.

Perché quelli di loro che sono anche intelligenti sanno bene che la Storia li ha già condannati.

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About Andrea Polizzo

Giornalista professionista dal 2010 e blogger. Sin dal 2005 matura esperienze con testate regionali di carta stampata, on-line e televisive. Attualmente collabora con il mensile d'inchiesta ambientale Terre di Frontiera e con il network VicenzaPiù. Ideatore di blogtortora.it, caporedattore e coordinatore di www.infopinione.it.

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