La sanità è della gente. Non della politica. È di chi affolla i corridoi di strutture fatiscenti. Non degli habitué delle migliori strutture private. E allora a chi tocca battersi? EDITORIALE
TORTORA – La sanità è della gente. Non della politica.
La sanità è del pensionato ottantenne di Grisolia, di Praia a Mare come di Verbicaro o Scalea che la aspetta nei corridoi del Iannelli. Non dell’onorevole che ha diritto a cure particolareggiate nelle migliori strutture italiane.
È dei malati di tumore che sono tanti e non fanno numero. Non di quei consiglieri che non si decidono a contarli. È di quelli con le esenzioni per motivi di reddito, di quelli in fila per le striscette del diabete, di quelli che potrebbero morire per una puntura d’ape o di quelli che per un infarto cadono a terra, per strada, e li ci rimangono. Non è di quelli che, se vogliono, basta una telefonata all’amico giusto e ha un posto letto, un consulto del luminare e fantastici giardinetti delle cliniche private.
Qui, la sanità è degli operai e dei macellai. Dei manovali e dei muratori. Degli insegnanti e dei bidelli. Degli ambulanti e dei droghieri. Degli autisti e dei benzinai. Dei netturbini e dei camposantari. Dei precari, dei disoccupati, dei fannulloni e dei bambocci. Non di certo dei governanti, degli amministratori o dei manager e dei commissari straordinari. Nemmeno degli uscieri. Forse neanche degli zerbini, dei faccendieri e dei lacchè.
Persino i medici di questo territorio, se hanno un male, vanno a farsi curare altrove.
Alcuni di noi, la sanità locale la vedono come “tutto quello che mi posso permettere”. Altri, invece, come un bacino di voti, posti di lavoro da assegnare con scientifica precisione elettorale. Senza badare al merito.
E allora, io proprio non la capisco questa euforia neanche troppo celata per il ritorno della sanità nelle mani della politica. Come mai ho visto di buon occhio il consegnarne la difesa nelle mani di chi non la pratica se non per distribuire “santini”.
Io penso che la sanità sia della gente. Ed è la gente che dovrebbe battersi per salvaguardarla, pretenderla, ottenerla.
Questo editoriale è stato scritto ascoltano Theo Teardo.