EDITORIALE ||| Una analisi parziale sull’ascesa degli Anni ’60 e il declino attuale della tanto agognata “qualità del turismo” in Riviera dei Cedri.
TORTORA – Vorrei raccontarvi, ricordandola a me stesso, una storia. Quella del nostro territorio. L’Alto Tirreno cosentino, la Riviera dei Cedri.
Non l’ho inventata e non è farina del mio sacco. Non interamente. È frutto dei racconti e delle spiegazioni che mi hanno fatto e dato persone più grandi di me. La parte restante è frutto del mio ostinato essere un noto cacacazzi.
Erano gli Anni ’60. Mentre il mondo ascoltava i Beatles e puntava i nasi all’insù verso la Luna, una piccola flottiglia di pionieri del turismo appartenente alla borghesia italiana si accorgeva di un lembo di Calabria.
Notai, ingegneri, architetti, docenti universitari, graduati delle forze dell’ordine, imprenditori e così via. Tutti restarono colpiti, e se ne innamorano, di un lembo di terra di inestimabile bellezza.
Chilometri e chilometri di dolce costa tirrenica, protetta da pinete e macchia mediterranea, dimorata su brevi pianure, preludio a colline e più in la ai monti popolati da antichi, piccoli, graziosi borghi.
La costa era ancora scarsamente popolata. Per decenni, gli abitanti del posto l’avevano utilizzata per le coltivazioni e come base per la pesca. Durante la stagione, per prendere i bagni. In alcuni tratti soggiornando in baracche di fortuna, montate e poi smantellate.
Quello stuolo di pionieri di cui parlavo prima, pensa bene di acquistare terreni e costruire dimore estive. Per lo più ville a due piani circondate da giardini, spesso erette a pochi metri dal mare.
Col passare degli anni, qua e là, annusate le potenzialità di quella cosa chiamata turismo, sorgono i primi, pionieristici complessi. Qualche grande albergo, i cinema, le discoteche. Fin qui, tutto bene. Tutti ci guadagnano. Chi accoglie e chi è accolto.
Arriviamo però agli Anni’80. La musica cambia, e non solo per colpa di Madonna e dei Duran Duran.
Qualcuno, tra i nostri padri, pensa che tutta quella terra delle pinete, della macchia mediterranea e delle colture può ospitare tante costruzioni da riempire di festanti turisti.
Alzi la mano chi non ha mai sentito dire: “Negli Anni’80, in una notte, i terreni agricoli diventavano magicamente edificabili”. Già, e magari solo qualche giorno prima qualcuno li aveva comprati a quattro lire (ah, le mitiche lire!).
L’inchiostro inonda la carta lucida dei progettisti e il cemento cola sulla costa. Vengono costruiti palazzi per 50 turisti, palazzoni per 200 turisti, e così via fino ai mega villaggi. Questi, in alcuni casi, arrivano ad ospitare il doppio degli abitanti di paesi in cui, per lo più, vivono tutto l’anno 5mila persone.
Gli appartamenti si vendono come il pane. Si vendono addirittura sulla carta. Sono piccoli alloggi da 50-70 metri quadrati, l’ideale per le famigliole della media e piccola borghesia.
Persino per le classi più basse. Con pochi milioni di lire quasi tutti possono avere diritto a una casa al mare. Comprano i settentrionali (pochi), i romani (un po’ di più), ma soprattutto i campani.
“Negli Anni’80, in una notte, i terreni agricoli diventavano magicamente edificabili”
Gli abitanti locali iniziano a familiarizzare sempre più con le strade affollate tre mesi l’anno e si moltiplicano gli esercizi commerciali. I “Moda mare”. Bar e ristoranti, soprattutto pizzerie che offrono la vera pizza napoletana. Sempre più stabilimenti balneari al posto della spiaggia libera. Eccetera.
Negli Anni ’90, tra l’Italia che non vince i mondiali di casa e le stragi di Cosa Nostra, quei pionieri dei seventies leggono la situazione e capiscono che quel territorio sta diventando per loro invivibile.
La formula di affitto delle case attira sempre di più le fasce basse della popolazione. Infatti, in molti, non si fanno scrupoli a cedere gli appartamenti a chiunque. Molte famiglie di vacanzieri riunite, anche fino a 4 nuclei familiari, affittano abitazioni che singolarmente non avrebbero potuto permettersi.
Mai sentito la frase: “Sono in 20 in una casa e fanno i turni per dormire”? Si cede in locazione persino lo scantinato o il garage che durante l’inverno è la rimessa per la propria automobile.
I segni di queste presenze si concretizzano in problemi che ogni anno si palesano con maggiore intensità. Le strade sono spesso invase dai rifiuti, ad esempio. In più gli anziani iniziano a notare che “l’acqua del mare non è più quella di prima”.
Insomma, quel pacifico luogo di villeggiatura lascia il posto a una baraonda ininterrotta da giugno a settembre e la fascia alta dei turisti decide di migrare altrove. Le loro case vengono vendute o affittate finendo nel circuito del sistema al ribasso senza fine della qualità. Ma chi se ne fotte? Le tasche sono piene, quindi…
Lo tsunami di cemento, e relative conseguenze, giunge fino ai primi Anni 2000. Si inizia a prendere coscienza che c’è qualcosa che non va. Quella massa critica di turisti da fascia bassa è praticamente diventata “Tutto quel che è rimasto”.
Spendono molto per l’affitto e pochissimo nelle attività commerciali. Del resto il loro potere di acquisto è quello che è. Ogni tanto una pizza. Per il resto vanno a mare dal mattino alla sera, momento in cui ci si concede una passeggiata sul lungomare e un gelato.
Certo non tutto è così. Ma è la dominante. Inoltre, la crisi economica che investe il mondo verso la fine degli Anni Zero fa registrare un calo costante ed inesorabile delle presenze.
Siamo giunti ai nostri anni. Quelli del post-Berlusconismo fatto di nani più bassi di Silvio e di ballerine un po’ meno belle. Ogni anno, di questi tempi (luglio-agosto, ndr), si giunge al punto di esasperazione in cui si dà addosso al principale bersaglio individuato in questa problematica: il turista campano.
Che fa casino, che parcheggia male, che continua a prendere in fitto persino i garage per 10 giorni di mare, che dorme nelle case con altri 19, che spende poco o nulla, che si porta persino l’acqua da Napoli, che è cafone, che va in giro senza maglietta, che ti passa avanti nella fila al tabacchino, che millanta di essere un camorrista e in alcuni casi lo è davvero, che ruba, che sporca, che “quando noi andiamo a casa loro mica facciamo così”.
Povero turista campano, dico io! Prima gli avete aperto la porta e ora volete buttarlo via dalla finestra. Tenetevi il loro: “Noi vi portiamo i soldi”. Ma, intanto, vi siete chiesti cosa è successo?
Secondo me, sul territorio, ci sono amministratori e palazzinari che quella porta da cui sono entrati l’hanno studiata in segrete stanze e l’hanno costruita. Perché era la strada più breve per fare soldi. Una montagna di soldi. Altro che mare!
E quelli, a parte qualcuno che è fallito, sono ancora lì, con i loro secchi colmi di chiavi e portachiavi a decidere le sorti di questo territorio.
Col tempo, questa gente è diventata ricca, ha differenziato il patrimonio e ha imparato a controllare voti e amministrazioni comunali che, come è ormai noto, non legiferano sul controllo delle seconde case.
Nei rari casi in cui lo fanno, i regolamenti restano lettera morta grazie al fatto che “come si fa a controllare fino a 60 mila persone con uno-due vigili”?
Se il problema del nostro turismo è il povero turista campano, è tempo di rendersi conto di alcune cose. Del fatto, ad esempio, che parliamo di un processo irreversibile. Per sostituirlo, il turista di oggi, dovrebbe scomparire una montagna di cemento. Quello che ha acquistato e quello che cerca, e trova, in affitto. Insomma un’impensabile opera di abbattimento-esproprio o un’ardua operazione di conversione.
Ma, soprattutto, dovremmo avere coscienza del fatto che il turismo, piaccia o non piaccia, lo fanno gli operatori (quelli bravi, pochi) ma lo indirizzano politici e gruppi di pressione che ho chiamato fin qui palazzinari.
Nè tra i primi e tanto meno tra i secondi mi pare di intravedere qualcuno degno di nota visti i risultati sotto gli occhi di tutti.
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