PRAIA A MARE – Le anticipazioni della relazione sul rapporto Svimez 2015 hanno suscitato numerose reazioni tra il non stupore di base: per chi vive nelle regioni del Mezzogiorno sono notizie che sanno di vita quotidiana. Nei giorni in cui circolava sui giornali e sul web la lettera di Roberto Saviano al premier Matteo Renzi mi trovavo in visita a Barbiana, alla “scuola” di don Lorenzo Milani.
Una coincidenza non fortuita, solo se pensiamo alle intuizioni e al metodo educativo del priore fiorentino. Intuizioni pensate e attuate per un contesto storico non più sereno del Meridione descritto dal rapporto Svimez 2015. Don Milani ha esercitato il suo ministero in un piccolo angolo del Mugello, facendo compiere alle persone a lui affidate un notevole salto di qualità: dal portare i sacramenti al popolo al condurre gli uomini al Dio vivo e vero. Il priore di Barbiana capì che autentico percorso di fede presuppone esigente cammino di umanità, che si forgia a partire dalla cultura. Il Sud ha urgente bisogno di riappropriarsi della cultura: il pensiero filosofico greco non è forse cresciuto sulle coste della nostra Calabria?
Don Lorenzo Milani aveva compreso, per questo poteva insegnare, che la cultura serve per la vita. O meglio ancora la cultura serve la vita: per abitare da responsabili cittadini il territorio nel quale siamo nati e per riscattarlo da ogni forma di corruzione, schiavitù ed emarginazione. Riappropriarsi della cultura vuol dire possedere la parola, della quale ognuno è responsabile e beneficiario. Solo attraverso di essa i giovani del Sud potranno trovare percorsi alternativi all’accidia meridionalista e alla corruzione di chi detiene un “potere” che ostacola la rinascita. Riappropriarsi della cultura vuol dire abitare insieme i sogni di riscatto per il nostro territorio: orientare tutte le agenzie educative a convertirsi a questa cultura e non a quella del profitto o dell’immagine migliore. La cultura ci permette di osservare i problemi come a delle sfide che ci impegnano ulteriormente: così l’immigrato non è uno straniero da allontanare, la natura non è un sistema da sfruttare, il turismo non è il palliativo estivo e la gente onesta non è tarlo da debellare.
La rinascita è invocata dai giovani costretti (a volte anche con maniere gentili e sottili) ad emigrare, da numerosi uomini e donne che si sporcano le mani tra i bambini, gli ammalati, i carcerati e gli anziani per ricostruire giorno dopo giorno l’alfabeto dell’umano che da queste parti non manca, però si confonde spesso con il pressapochismo e la malavita organizzata, la quale impoverisce non solo l’economia ma soprattutto la cultura di un popolo. Pertanto il riscatto che a noi tocca innescare è quello culturale.
*Studente della Pontificia facoltà Teologica dell’Italia Meridionale Catanzaro