TORTORA – La notizia era già nell’aria da tempo e la sua ufficialità è arrivata il 22 gennaio. Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea (Bce), ha annunciato il suo quantitative easing (Qe).
Si tratta di una misura straordinaria che ha lo scopo di rilanciare l’economia europea, fermando la deflazione, cioè il calo dei prezzi al consumo di beni e servizi, facendo scendere il costo del debito degli Stati e i tassi di interesse e rilanciando l’erogazione del credito a famiglie e imprese.
È dunque una misura con cui la banca centrale effettua degli acquisti programmati di titoli finanziari (in particolare obbligazioni emesse dagli Stati membri). In questo modo, a intervalli mensili regolari, la Bce immette nel sistema finanziario una massiccia dose di denaro fresco.
Lo scopo delle autorità monetarie che effettuano il quantitative easing è (principalmente) quello di espandere la quantità di moneta in circolazione, in modo da stimolare l’economia. E questo è ciò che hanno già fatto negli anni scorsi, altre banche centrali non europee come la Federal Reserve americana, la Bank of England britannica e la giapponese Bank of Japan.
Tuttavia, a parte gli obiettivi macroeconomici, il Qe di Draghi avrà anche delle conseguenze dirette sulle tasche dei risparmiatori e sui bilanci delle famiglie. Vediamo di seguito una panoramica su cosa aspettarsi nei prossimi mesi, come coglierne i vantaggi e cosa evitare.
Conti Correnti e Depositi bancari e postali.
Il quantitative easing non è proprio una buona notizia per chi è abituato a far fruttare i propri risparmi con i conti di deposito o i libretti postali. Già oggi, questi prodotti finanziari rendono molto poco (lo zerovirgola), e comunque non più del 2percento lordo annuo vincolato. È probabile che nei prossimi mesi gli interessi di molti conti subiscano un’ulteriore taglio, visto che le banche potranno contare su maggiore liquidità in arrivo dalla Bce e avranno minor bisogno di rastrellare soldi freschi presso la clientela con l’offerta di cospicui rendimenti sui depositi. A questo punto una buona domanda che dovrebbe farsi chi ha i propri soldi in un conto deposito che dà più dell’1percento è: “Perché la mia banca viene a chiedere i soldi proprio a me, dandomi l’1,5-2percento, quando potrebbe reperire fondi sul mercato a tassi molto più bassi”?
Mutui e prestiti
Grazie all’arrivo di maggiore liquidità dalla Bce, le banche italiane dovrebbero essere spinte a dare i soldi in prestito con più facilità. Potrebbe dunque scendere il costo dei prestiti e soprattutto dei mutui per la casa, non tanto per il calo dei tassi d’interesse di mercato (che sono già vicini allo zero) quanto piuttosto per la riduzione dello spread applicato. Si tratta della quota di interessi che le banche aggiungono ai tassi ufficiali. Oggi, in Italia, lo spread richiesto sui mutui supera quasi sempre il 2percento, mentre fino a qualche anno fa era in media all’1percento.
Risparmi e investimenti
Se da un lato è lecito attendersi una riduzione più o meno marcata dei rendimenti dei titoli di Stato (Bot, Btp, etc.) con fenomeni anche di rendimenti negativi, il rovescio della medaglia presenta innumerevoli opportunità che si potrebbero presentare e che i risparmiatori e gli investitori dovrebbero essere pronti a cogliere.
Partiamo dai titoli di Stato e da uno degli obiettivi che il Qe si prefigge di raggiungere: fermare la deflazione (e quindi far crescere l’inflazione). Uno degli obiettivi dell’Unione monetaria europea è quello di mantenere un tasso medio di inflazione nell’eurozona pari al 2percento annuo. Per far questo la Bce punterà probabilmente ad un’inflazione del 3percento nei Paesi più solidi (es. Germania) e dell’1percento in quelli periferici (es. Italia). Una buona occasione che si presenterà sarà dunque quella di investire una parte dei propri risparmi nelle obbligazione indicizzate all’inflazione dei Paesi che adottano l’Euro come moneta. Infatti, con la (sperata) crescita dell’inflazione, saliranno anche i rendimenti reali offerti da questi strumenti finanziari, o quanto meno saranno in grado di contrastare il calo dei rendimenti dovuto all’acquisto massiccio da parte dell’autorità monetaria europea.
Molto interessanti potrebbero essere le obbligazioni corporate (quelle emesse dalle società anziché dagli Stati o dagli enti pubblici), a patto però che siano liquide (quindi quotate su un mercato ufficiale) e che il rating dell’emittente sia molto buono (es tripla A – AAA).
Il calo dei rendimenti sui titoli di Stato, spingerà probabilmente molti investitori a cercare i profitti altrove, spostandosi su attività più rischiose come le azioni. Oltre al Qe, una serie di altri fattori particolarmente favorevoli alle imprese italiane ed europee (euro debole, crollo del prezzo del petrolio, tassi di interesse bassi) potrebbe dare una poderosa spinta al mercato azionario italiano ed europeo (negli Stati Uniti, il quantitative easing già attuato dalla banca centrale americana ha galvanizzato parecchio le borse di Wall Street). Non va sottovalutato, però, il rischio di una bolla speculativa. Negli ultimi anni, infatti, i mercati azionari (tra cui quello italiano) hanno già recuperato parecchio terreno, rispetto al crollo del 2007-2008. Il consiglio, come sempre, è quello di non fare mai da soli, cimentandosi in pericolose attività di trading; e di non dare ascolto a consigli troppo ottimistici (e spesso interessati). La buona prassi è quella di rivolgersi al consulente finanziario di fiducia e valutare attentamente obiettivi che si intendono raggiungere e rischi che si possono sopportare, senza dimenticare mai la regola aurea della diversificazione. I mercati finanziari, anche quando sembrano prendere una direzione ben precisa, possono sempre riservare sorprese. Essi, per quanto possano apparire astratti e razionali, sono pur sempre fatti da persone, con le loro aspettative, dubbi ed emozioni. E la razionalità, la finanza comportamentale la storia lo insegnano, non appartiene alla realtà quotidiana dell’uomo, se non in minima parte.
Il resto del mondo guarda con molto interesse a quanto sta accadendo e accadrà in Europa. Negli USA, dove il quantitative easing si è concluso già da un pezzo, la disoccupazione è scesa ai minimi storici, la crescita economica è buona e le autorità monetarie si interrogano su quale sia il momento opportuno per alzare i tassi di interesse e le conseguenze che ciò porterà con se. Ricordiamo poi che gli Stati Uniti sono un mondo completamente diverso rispetto all’Europa, quindi non è assolutamente detto che ciò che ha funzionato per loro, avrà gli stessi effetti da noi. La Cina e gli altri paesi emergenti hanno corso molto negli anni passati e, complice anche un indebolimento dell’euro rispetto alle proprie valute, un rallentamento potrebbe essere fisiologico, specie per quei Paesi che sono anche esportatori di petrolio, alle prese con crollo del prezzo del greggio (es. Russia). Tutti questi Paesi, non staranno certamente solo a guardare ciò che accade da noi. Seppur interessati – per vari motivi (su tutti le esportazioni dei loro prodotti) – ad una ripresa economica europea, metteranno certamente in atto delle mosse per impedire una fuga di capitali verso l’Europa e per continuare a sostenere la propria crescita economica. Questa è la ragione principale per cui bisogna essere molto prudenti e frenare gli slanci di ottimismo, diversificando il più possibile i propri investimenti (per genere, valuta, località geografica, etc.) ed evitando di sottoscrivere strumenti poco liquidi (es. obbligazioni ed azioni bancarie).
A meno che, qualcuno di voi non abbia un’affidabile sfera di cristallo in grado di predire, con certezza, il futuro.
Dott. Giuseppe Idà
Consulenza finanziaria
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